venerdì 30 dicembre 2022

"Eccessi di zelo" comuni nella redazione di documenti legali/finanziari


Quando si redige o si traduce un testo giuridico italiano in inglese, ogni singola parola deve essere in inglese, giusto? Dipende...

Un grave errore che alcuni commettono nella redazione o traduzione di testi giuridici in inglese è proprio quello di tradurre tutto, compresi elementi che non dovrebbero mai essere tradotti.

Alla base di questo “eccesso di zelo” c’è forse l’ingenua convinzione che il testo in un’altra lingua debba essere una copia esatta (solo, appunto, in una lingua diversa) del testo in italiano. O forse c’è, allo stesso tempo, una scarsa consapevolezza del fatto che, in ambito giuridico, non sempre c’è corrispondenza fra termini e concetti di ordinamenti diversi. A volte la corrispondenza non c’è affatto, ed è necessario adottare strategie diverse rispetto alla traduzione letterale.

 

Ad esempio, quando in un testo compare il nome di una società, si può essere tentati di tradurre in inglese il tipo di società, che fa parte della ragione o denominazione sociale della stessa. Così, può capitare che “Tizio s.r.l.” diventi “Tizio Ltd” o che “Caio s.p.a.” si trasformi in “Caio Plc” o simili. Si tratta di un grave errore, per due motivi:

-      ogni ordinamento può prevedere (e, di fatto, spesso prevede) una disciplina diversa anche per tipi di società apparentemente simili o quasi identici; tradurre letteralmente il tipo di società significa "trasferirlo" in un ordinamento a cui non appartiene, trasformarlo in qualcosa che non è;

-    l’indicazione del tipo di società è parte integrante della ragione o denominazione sociale della società stessa e, in quanto tale, deve restare invariata.

 

Un altro errore grave che, purtroppo, molti commettono consiste nel tradurre alla lettera i riferimenti normativi, ad esempio i riferimenti ai codici (c.c., c.p.c., ecc.). Certo, è improbabile che civil code faccia pensare a un “codice civile” di common law, dal momento che gli ordinamenti di common law sono privi di un diritto codificato come quello italiano. Tuttavia, chi legge può non sapere, o non capire immediatamente dal contesto, che il civil code di cui si parla è, nello specifico, quello italiano. Il problema si fa molto più serio quando si redige o si traduce un testo nella lingua di un ordinamento di civil law, il quale abbia codici con denominazioni analoghe a quelle dei codici italiani. Si pensi, ad esempio, al code civil francese o al bürgerliches Gesetzbuch (BGB) tedesco. Se il testo italiano da tradurre contiene un riferimento a un articolo del c.c., non si dovrebbe assolutamente trasformare “c.c” in “code civil” o “BGB”: immaginate la confusione che ciò potrebbe generare nel lettore! Sarebbe davvero come tradurre il nome proprio di una persona (ad esempio, Giovanni) in lingua straniera. Il signor Giovanni Rossi si chiama sempre Giovanni; non si "ribattezza" John, Jean, Juan, Ivan ecc. a seconda del paese in cui va!

 

Come comportarsi, allora?

-       Nel caso di riferimenti normativi, è possibile tradurre in inglese, ma, anche se il contesto è chiaro, sarà sempre buona norma specificare l’ordinamento di origine, aggiungendo l’aggettivo Italian (es. Italian civil code);

-       in alternativa, si può lasciare il riferimento in italiano, ma aggiungere una traduzione tra parentesi: “c.c. (Italian civil code)”;

-      per quanto riguarda i tipi di società, non vanno invece mai tradotti. Per aiutare il lettore, è bene aggiungere una traduzione funzionale tra parentesi, ad es. “Tizio s.r.l. (Italian-law limited liability company)”. Se si vogliono fornire informazioni ulteriori per amor di chiarezza e completezza, è possibile anche sciogliere l’abbreviazione: “Tizio s.r.l. (società a responsabilità limitata, Italian-law limited liability company)”.

 

Vi è mai capitato di imbattervi in questi errori o di commetterli inconsapevolmente? Fatecelo sapere nei commenti!
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